La SCUOLA al centro – Le mozioni a confronto

febbraio 22, 2019 § Lascia un commento

Ringrazio il Dipartimento Scuola e Formazione del Partito Democratico, per avermi invitato ad intervenire ad un confronto a 3 tra rappresentanti delle diverse mozioni  per la segreteria Nazionale del Partito Democratico sui temi dell’Istruzione e della Formazione.

alternanza

Tre i temi proposti al confronto:

  • IL RAPPORTO TRA SCUOLA E IL LAVORO 
  • Il RAPPORTO TRA LA SCUOLA, IL CENTRO E LA PERIFERIA
  • LA FORMAZIONE DEGLI INSEGNANTI

Temi caldi anche a fronte delle decisioni prese in Materia dall’attuale Governo.

Ho sostenuto l’importanza di non fare passi indietro sull’alternanza scuola – lavoro (che nella legge di bilancio ha visto dimezzato il monte ore dedicato) . La Legge 107 aveva reso l’ASL obbligatoria per tutte le superiori, con 400 ore nel triennio per gli istituti tecnici e professionalie 200 ore per i licei. Ora la parte obbligatoria sarà di sole 180 ore nei professionali, 150 nei tecnici e 90 nei licei. Ritengo sia un errore e un passo indietro, allo stesso tempo penso che l’alternanza vada sostenuta e rinforzata laddove presenta elementi di criticità:  l’omogeneità nell’attuazione dei progetti e la valutazione degli esiti;  la maggiore coprogettazione, cooperazione e continuità nei rapporti tra aziende, scuole ed enti  di formazione. Nicola Zingaretti per la sua Regione ha voluto istituire un Albo Regionale degli enti ospitanti e un tavolo di monitoraggio (strumenti che utilissimi per renderla più efficace) e contemporaneamente predisponendo un fondo da utilizzare sia per la formazione degli insegnanti preposti al progetto sia per facilitare l’inserimento degli studenti con disabilità. Questa può essere una strada perché la funzione di valutazione dei risultati potrebbe essere in capo  ai referenti interni dell’ASL che però devono essere adeguatamente formati e valorizzati , poiché seguire questi progetti significherà anche acquisire competenze specifiche utili per la carriera del docente.

La riflessione sull’istruzione tecnico professionale non può che partire da due dati allarmantidal 1990 abbiamo perso 120.000 diplomati degli istituti tecnici;  comparto in cui gli iscritti sono calati del 10%, mentre crescono gli iscritti ai Licei. Contemporaneamente nel  primo anno di scuola superiore si registra tassi più alti di bocciatura rispetto ad altri anni. Il mio pensiero è che l’orientamento agli studi superiori si faccia  forse troppo tardi, e troppo in prossimità dell’iscrizione. C’è anche. e non secondario il tema dello scardinamento del pregiudizio sulla migliore qualità (e status conseguente) dei percorsi formativi liceali. E non ultimo lo scarso investimento sulle  attrezzature e le strumentazioni degli istituti tecnici, poco aggiornate per le esigenze delle imprese di oggi. Altra sfida da cogliere è come rilanciare gli ITS istituti tecnici superiori. Se  confrontiamo la situazione italiana con quella tedesca   dove  l’istruzione terziaria professionale ha 900.000 iscritti, e in Italia poco meno di 10.000 (2000 i diplomati nel 2018), ci rendiamo conto che questi studi sono poco valorizzati. Eppure creano le nuove professionalità legate all’industria 4.0 e rispondono alle domande di tecnici specializzati, con  una occupabilità molto alta 80/90%.

Altro punto toccato dal dibattito è l’autonomia scolastica, con l’ipotesi che  Ministero e regioni potrebbero occuparsi  di norme generali e livelli essenziali delle prestazioni lasciando la gestione delle risorse e le scelte progettuali sui curricula alle autonomie delle scuole. Ma ad una delega di  competenze maggiori  deve corrispondere una maggiore disponibilità di risorse, sia personale e economica, anche per poter programmare percorsi di medio-lungo termine. E’ chiaro che la scuola tre vantaggio se il dirigente può gestire direttamente risorse e personale, sempre che non si trasformi in un burocrate, anziché rafforzare il suo ruolo di leader pedagogico, responsabile degli insegnanti della propria scuola e delle misure per migliorarne la qualità.

Il nodo della validità delle prove Invalsi è più sfaccettato e mi ha sorpreso che da entrambe le rappresentanti delle altre mozioni ci sia stata una difesa a tutto tondo.

Perché sono convinta che le prove possono aiutare a comprendere e a localizzare criticità e sofferenze del sistema scolastico e dell’acquisizione di competenze, e di conseguenza consentono di intervenire per potenziare quelle aree o anni dove le differenze sono più evidenti, investendo di più e meglio (più risorse, più innovazione, più insegnanti qualificati) .

E’ giusto che siano obbligatorie, ma non condivido la loro utilità come requisito di ammissione agli esami, perché restano prove di carattere generale, non efficaci alla  valutazione del percorso individuale.

Ultima delle questioni trattate  la necessità di ripristinare  quel percorso formativo e progressivo in tre anni (il FIT, non ancora partito a dire il vero) per l’abilitazione piena all’insegnamento. Percorso che per la prima volta non costituiva un costo per l’insegnante, ma era retribuito.

Il Governo lo ha cancellato, ripristinando una sorta di concorsone, con la conseguenza che si potrà arrivare prima alla cattedra, ma sicuramente con una preparazione più superficiale. Dobbiamo però considerare che molti insegnanti andranno in pensione (processo accelerato dal provvedimento Quota100), e quindi ci sarà prestissimo necessità di nuovi docenti ben formati. Altro punto fondamentale  nell’ambito della formazione dei docenti, dare più opportunità di formazione su nuove modalità  e tecniche didattiche, più partecipative, innovative, con spiccate caratteristiche laboratoriali ( ancora troppo poco sono valorizzate);  formazione che deve essere offerta a tutti,  anche ai docenti già in carriera, non solo ai più giovani.

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