Rapporto Istat 2022: più single e meno famiglie con figli, occupazione femminile in calo.
luglio 13, 2022 § Lascia un commento
Un ritratto tra luci e ombre quello del Rapporto Istat annuale 2022 appena presentato. Le prospettive di crescita per l’Italia restano positive, ma sono in decelerazione a causa dei rincari delle materie prime di cui tutti sappiamo e da cui veniamo direttamente colpiti. Ma non è solo un problema di economia domestica, poiché a risentirne è prima ancora l’industria.
Mi concentro però su due analisi che hanno relazione stretta con gli effetti della pandemia, in particolare: i cambiamenti all’interno della famiglia e l’occupazione femminile.
Vado per ordine.
Intanto, fa impressione leggere i dati, perché se sapevamo già dei 160mila morti, da aprile 2020 a febbraio 2022 – la mortalità è passata da +76,8 a -11,9, ma probabilmente grazie al fatto che il Covid uccide meno – nello stesso arco di tempo in Italia i contagi sono stati 16 milioni. E sempre sul tasso di mortalità, nel primo periodo, insieme a noi i picchi sono stati registrati anche in Inghilterra e Galles e in Spagna. Durante le altre ondate, prima dell’ultimo livellamento alla pari con il resto della Ue, ci ha superato solo la Polonia. Nella campagna di vaccinazione mi piace sottolineare che l’Italia ha avuto una grande adesione (80%), superata solo da Malta e Portogallo (86%). Ma la normalità non è ancora tornata ai livelli pre-Covid, sia per prudenza che per un deciso cambio di abitudini degli italiani.
Le famiglie
Purtroppo, la pandemia, come era immaginabile, ha avuto un impatto rilevante su tutte le componenti di una dinamica demografica già in fase recessiva fino dal 2014. L’elevato eccesso di mortalità registrato nel 2020 è stato accompagnato dal quasi dimezzamento dei matrimoni, per effetto delle misure di contenimento e dalla forte contrazione dei movimenti migratori. Ed è da due anni che si registra un deciso calo della natalità, anche qui per ovvie ragioni. Eppure il dato che fa più riflettere è un altro: se all’inizio del nuovo millennio la famiglia nucleare formata da una coppia con figli era ancora la più frequente, oggi è superata dalla famiglia che l’Istat definisce unipersonale, le coppie con figli non rappresentano più il modello familiare prevalente, superate dalle persone che vivono sole.
La maternità un desiderio che viene spostato avanti nel tempo: l’età media al parto nel 2020 alla nascita del primo figlio è di 31,4 anni.
I single non vedovi sono 8,5 milioni, cioè oltre il 33% del totale delle famiglie, con un incremento dal 12,3 al 20,6% tra 2020-2021 e 2000-2001, mentre le coppie risultano 13,9 milioni, quasi mezzo milione in meno rispetto a venti anni fa. All’interno di queste, sono in aumento le libere unioni, cioè i conviventi, e le coppie ricostituite coniugate, ovvero in cui almeno uno dei due partner proviene da un precedente matrimonio. Ancora un dato: sono 7 milioni i giovani che rimangono nelle famiglie di origine, quindi il 67,6% dei 18-34enni.
Le conseguenze sono diverse: la difficile sostenibilità del sistema pensionistico attuale, e il “debito demografico” nei confronti delle generazioni future a cui ci troveremo di fronte (nei termini di previdenza, spesa sanitaria e assistenza) perché aumenteranno gli anziani soli : i 1,2 milioni di donne sole in più, viviamo di più, e oltre 621.000 uomini soli .
Il Lavoro
Giovani under35, donne, residenti al sud e stranieri sono i soggetti con maggiore precarietà lavorativa. Sono lavoratori precari il 39,7% degli occupati under35, il 34,3% dei lavoratori stranieri, il 28,4% delle lavoratrici, il 24,9% degli occupati con licenza media e il 28,1% dei lavoratori che risiedono a Sud.
Il lavoro delle donne, come al solito, ha pagato cara la situazione: cala il tasso di occupazione femminile che arriva al 49,4% a fronte di una media Ue di 63,4.
Lavoro più instabile tra l’altro, perché le lavoratrici 15-34enni non-standard, cioè non full time e a tempo indeterminato, sono il 47,2% sul totale delle donne che lavorano, questa percentuale scende al 34,4% tra i coetanei maschi.
In generale, le occupate sono diminuite di circa 376mila unità nel 2020 (-3,8% rispetto al 2019).
Donne inserite di fatto tra i soggetti più fragili, assieme agli under35, ai residenti nel mezzogiorno, agli stranieri, ai portatori di disabilità e ai loro familiari. Basti pensare che sono lavoratori precari il 39,7% degli occupati under35, il 34,3% dei lavoratori stranieri, il 28,4% delle lavoratrici, il 24,9% degli occupati con licenza media e il 28,1% dei lavoratori che risiedono al sud. L’intersezione tra queste caratteristiche aggrava le condizioni nel mercato del lavoro: il 47,2% dei lavoratori precari è una donna che ha meno di 35 anni, il 41,8% è straniera.
E sulla conduzione d’impresa non andiamo meglio: nel 2019 le donne dirigevano meno del 23% delle imprese con almeno 3 addetti pur essendo il 37,9% degli addetti; gli stranieri il 5,9% pur essendo il 12,9% degli addetti, e i giovani il 7,8% ed erano il 27,8% tra gli addetti. Per fortuna crescono le giovani imprenditrici ma perché sono state quelle che hanno fatto scelte strategiche migliori e hanno livelli di istruzione più alti.

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