
Il 30 novembre ho portato un mio contributo al Primo Forum di Casa Comune, all’interno del panel “Le politiche per il riscatto sociale e il lavoro e una nuova (buona) idea di sviluppo”.
Non penso sia possibile affrontare questi temi riferendosi a un soggetto indifferenziato. Senza pensare che una nuova e più sostenibile idea di sviluppo sociale debba necessariamente partire dal riconoscimento del valore delle persone, delle donne e degli uomini, in una prospettiva di parità.
Abbiamo ancora molta strada da fare.
In questo breve intervento ho cercato di mettere a fuoco le cause profonde su cui è necessario intervenire a partire dalla centralità del lavoro, dove le pari opportunità possono essere raggiunte se c’è un ripensamento collettivo sul portato delle donne, che saranno motore di crescita e sviluppo sostenibile, solo se potranno esprimere al massimo tutta la loro potenza, senza discriminazioni.
Grazie a Radio Radicale, potete trovare qui il video del mio intervento, di cui riporto una trascrizione testuale qui di seguito.
“Buongiorno grazie di essere qui, e grazie a Pierfrancesco Majorino che ci ha chiamato a raccolta per confrontarci, nel caso di questo panel di cui faccio parte, sulle politiche necessarie per il riscatto sociale, per il lavoro, per un nuovo sviluppo.
Come ci richiama spesso Pierfrancesco Majorino, non lo possiamo fare senza mettere al centro il valore delle persone, riconoscendo il valore delle differenze, delle donne e degli uomini
E allora dobbiamo dirci con grande sincerità che, dal punto di vista del riconoscimento del valore, le donne sono meno uguali degli uomini.
E su questo dobbiamo impegnarci e molto.
A partire dal lavoro dove c’è grande disparità, a cui dobbiamo rimediare al più presto, ce lo dicono l’ONU e la UE e anche Nicola Zingaretti, che ieri si è preso un impegno.
Nel lavoro la disuguaglianza tra i generi è evidente: le donne lavorano meno e guadagnano meno; e questo divario economico si trascina nel corso di tutta la loro vita, portando a pensioni inferiori,che hanno come conseguenza un maggiore rischio di povertà in età avanzata.
Guadagnano meno, non su base oraria – perché per legge dobbiamo essere pagate allo stesso modo – ma in un anno, in una vita, perché il loro percorso è più discontinuo, perché fanno meno straordinari, lavorano di più a partime, spesso involontario, perché non lo scelgono. Perché fanno meno carriera, perché raggiungono meno i vertici.
Di contro hanno più responsabilità di cura e il sistema di welfare si scarica spesso sulle loro spalle: perché ci sono pochi servizi territoriali o ancora poco accessibili: pochi asili nido, poco tempo pieno nelle scuole , poche strutture assistenziali per gli anziani.
Lo dico da un punto di vista privilegiato quello della Lombardia dove il tasso di occupazione femminile supera il 60%, ma il divario persiste.
Per ridurre il divario nella buona occupazione e nella retribuzione, non basta limitare il danno, accontentandoci di proporre e praticare politiche compensative di welfare, per lo più delle politiche di conciliazione declinate unicamente al femminile.
Su questo dobbiamo fare un cambio di passo, e oltre ad agire sugli effetti dobbiamo combatterne le cause a partire dallo SQUILIBRIO NELLA RESPONSABILITÀ DI CURA.
C’è un patto secolare, sociale e culturale, che attribuisce questa responsabilità soprattutto alle donne. Ma non vale più in una società che è profondamente cambiata, dove le donne rivestono tutti i ruoli possibili, hanno studiato e si diplomano e laureano prima e meglio dei loro coetanei.
C’è bisogno di un nuovo patto, una nuova alleanza tra uomini e donne, fondata su una equa condivisione delle responsabilità di cura.
Dovremmo usare di più la parola condivisione.
E dobbiamo essere noi come forze progressiste a creare le condizioni di questo nuovo rapporto alla pari.
Sia con strumenti legislativi coraggiosi che comprendano per esempio più ampi congedi parentali obbligatori ai padri, e investimenti sul welfare di prossimità.
Sia favorendo un’azione collettiva di cambiamento culturale, che non può che partire dall’educazione, dalla scuola dei più piccoli e delle più piccole.
Ma lo squilibrio nella responsabilità di cura non è l’unico ostacolo alla parità retributiva.
Se a tre anni dalla laurea, quando non c’è maternità o carico di cura che tenga li stipendi delle donne sono già inferiori è evidente che le donne patiscono uno STEREOTIPO IN QUANTO DONNE. Questo ci dice che non dobbiamo occuparci non solo delle madri, ma anche di chi non lo è ancora o non lo sarà, delle donne tutte.
E a proposito di stereotipi non dimentichiamoci che persistono anche nell’orientamento agli studi, e che vanno contrastati incoraggiando di più le ragazze verso percorsi STEM scienza tecnologia, ingegneria, matematica.
La disuguaglianza non è solo un tema di discriminazionema anche di MANCATA CRESCITA: non sappiamo valorizzare il nostro capitale migliore, su cui abbiamo investito, e non lo sanno valorizzare le imprese, tutti inconsapevoli di quanto il mancato PIENO APPORTO delle donne rallenti crescita e competitività.
Un piccolo inciso, non secondario: investire sul lavoro delle donne è anche una forma di SICUREZZA SOCIALE perché donne economicamente indipendenti non saranno costrette a subire violenza e prevaricazioni ma avranno maggiori possibilità di sottrarsi, perché una delle cause principali della violenza è la violenza economica.
Il Gender Pay Gap è una spia di come la donna sta nel mercato del lavoro, e la parità retributiva è UNA delle finestre da spalancare con interventi a più livelli.
E’ necessario un pensiero organico, che si traduca in politiche strutturali, una sorta di WOMEN NEW DEAL, per la parità delle donne, a partire da quella nel lavoro.
Un pensiero capace di tenere insieme cambio di paradigma, cioè una nuova alleanza tra i generi), lotta allo stereotipo, formazione, opportunità di lavoro, contrasto al lavoro povero, previdenza sociale.
È una sfida che non può essere solo della politica ma che interroga tutte e tutti (sindacati, imprese, istituzioni, università, civismo), coinvolti verso la realizzazione in prima persona verso lo stesso obiettivo.
Mi piacerebbe sapere da Aldo Bonomi, che ha citato la necessità di un “intelletto collettivo sociale”, quale ruolo può avere questo nuovo patto di alleanza tra uomini e donne.
Perché io penso che sia determinante per una società che supera il rancore, perché contribuirebbe a creare una società più giusta.
Così come penso sia fondamentale tenere dentro le nuove italiane in questo processo di empowerment femminile, e forse Abubakar Soukamaoro ci può aiutare a capirne i risvolti.
E caro ministro Provenzano le donne sono un motore primo formidabile, in tutte le latitudini, in tutte le velocità sociali: puntiamo su di loro per agire il riscatto di tutti i territori .
Se tutti ci impegneremo, ognuno a suo modo, e ognuno facendo la propria parte, per il superamento di questa di disuguaglianza, allora avremo davvero uno sviluppo sociale sostenibile, perché staremo meglio tutti, uomini e donne.
Grazie.”
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